Emerge in Occidente un largo consenso sull’importanza strategica di gestire bene la conoscenza: il “Knowledge boom” ha colpito l’Occidente come un fulmine in questi ultimi anni. Il Knowledge Management, che il Business Week definisce come l'”idea di catturare la conoscenza acquisita dagli individui e distribuirla agli altri appartenenti all’organizzazione”, è diventato una delle concezioni manageriali più popolari. Essa presenta due aspetti: la misurazione della conoscenza ( o capitale intellettuale), e la sua gestione.
Le aziende europee sono in testa nella misurazione, mentre quelle americane sono spesso citate come le migliori nell’effettiva gestione della conoscenza.
Â
IN EUROPA
Le aziende europee hanno assunto la leadership nello sviluppo dei sistemi di misurazione dei loro beni immateriali e nella pubblicazione dei risultati. Tra esse: Skandia AFS, una filiale della compagnia di assicurazioni e servizi finanziari Skandia, WM-data, un’azienda di software e consulenza, Celemi, un’azienda che sviluppa e vende strumenti creativi di formazione, ePLS-Consult, una ditta di consulenza gestionale. Tutte le aziende citate sono scandinave, le prime tre svedesi e la quarta danese. Sono state tutte influenzate dal lavoro pionieristico dello svedese Karl-Erik Sveiby che ha sviluppato un metodo di valutazione dei beni immateriali nelle aziende alla fine degli anni 80.
Queste aziende hanno realizzato, nel complesso, centinaia di indici e scale di misura nello sforzo di fornire una visione complessiva dei beni immateriali disponibili. Queste aziende valutano elementi come “le spese di sviluppo in relazione al totale delle spese”, “la percentuale di prodotto derivante da nuovi lanci”, la “proporzione tra le spese totali e quelle dedicate all’innovazione tecnologica”, il rapporto tra il numero totale di dipendenti e quello dei dipendenti impiegati nelle tecnologie dell’informazione”, “la percentuale dei dipendenti che lavora a contatto diretto col cliente” e altre cose del genere come indicatori del capitale intellettuale.
Le aziende citate pubblicano inoltre questi indici nei loro rapporti annuali per evidenziare quanto i beni immateriali stiano effettivamente crescendo. Il rapporto annuale per esempio, evidenzia il processo di trasformazione del “capitale umano”, che l’azienda non può possedere, in “capitale strutturale”, che può essere effettivamente capitalizzato. Il capitale umano è dato dall’insieme di conoscenza, competenze, capacità innovativa e abilità dei dipendenti nel far fronte ai loro compiti. Esso comprende anche i valori, la cultura e la filosofia aziendali. Il capitale strutturale è dato dall’hardware, dal software, dalle basi di dati, dalla struttura organizzativa, dai brevetti, dai marchi di fabbrica e da ogni altra capacità aziendale che favorisca la produttività di quei dipendenti – in una parola, tutto ciò che viene lasciato in ufficio quando l’impiegato “stacca”. Il capitale strutturale comprende anche il capitale clienti e le relazioni stabilite con i clienti principali.
Â
NEGLI USA
Le aziende americane hanno posizioni di testa nell’effettiva gestione della conoscenza. I migliori esempi nelle società di servizi che hanno effettivamente la conoscenza come prodotto vengono per la maggior parte dalle aziende di consulenza americane. Questi gestori della conoscenza hanno la responsabilità di mantenere ordinate le basi di dati nell’indicizzare e strutturare i documenti e nel distruggere i dati obsoleti. essi hanno anche il compito di indurre i consulenti all’uso del sistema e di identificare gli argomenti che meritano di essere trasformati in progetti di ricerca.
Hewlett-Packard, ad esempio, in questi ultimi anni, si è impegnata in un certo numero di iniziative tese a creare un deciso processo di acquisizione, archiviazione, condivisione e di sviluppo di quanto i dipendenti sanno. Uno degli esiti di questa iniziativa è la formazione di KnowledgeLinks, un programma in cui un gruppo di consulenza situato presso il quartier generale raccoglie la conoscenza relativa a una delle attività Hewlett-Packard e la “traduce” in modo che possa essere utilizzata in altri settori di attività. Ormai diverse versioni on-line di KnowledgeLinks sono disponibili, e permettono ai managers di ricevere una selezione di docu-menti, rapporti operativi ed esempi di come altri hanno trattato problemi gestionali essenziali nel passato – come la riduzione dei tempi di commercializzazione, l’outsourcing, la produzione, la gestione dei flussi al minuto (retail channels) e altri. I siti web di KnowledgeLinks non offrono solo l’accesso a quello che altri hanno fatto, ma anche a coloro che l’hanno fatto, permettendo di contattarli.
Â
IN GIAPPONE
Segnali chiari del boom che abbiamo visto in Occidente non possono essere trovati in Giappone
La riluttanza delle aziende giapponesi ad accettare il Knowledge Management è dovuta all’influenza del pensiero di Nonaka. Secondo l’ Economist le idee di Nonaka sulla conoscenza differiscono dalla visione diffusa in Occidente in due aspetti fondamentali:
“Il primo è la sua relativa mancanza d’interesse per le tecnologie dell’informazione. Molte compagnie americane fanno coincidere la “creazione di conoscenza” con l’installazione di basi di dati computerizzati. Il professor Nonaka sostiene che una gran parte della conoscenza aziendale non ha nulla a che fare coi dati, ma è basata sulla conoscenza informale operativa, – ogni cosa, dal nome della segretaria di un cliente al modo migliore di trattare con un fornitore aggressivo. Molti di questi tesori sono immagazzinati nella mente dei quadri intermedi – proprio coloro che la reingegnerizzazione ha rimpiazzato coi computer.
Il secondo aspetto che differenzia il professor Nonaka è la sua insistenza sul fatto che le aziende hanno bisogno di “ridurre la tensione”per rimanere creative.
Nonaka traccia una netta distinzione tra la gestione della conoscenza e la creazione della conoscenza.Â
In sostanza, la conoscenza ha una dimensione diversa dal concetto occidentale.
Per Nonaka c’è un’importante differenza tra conoscenza tacita ed esplicita.
La conoscenza tacita è difficile da esprimere in maniera formalizzata, è legata al contesto di riferimento, è personale e difficile da comunicare.
Al contrario, la conoscenza esplicita è quella codificata, espressa secondo modalità formali e linguistiche, facilmente trasmissibile e conservabile, esprimibile in parole e in algoritmi; questo tipo di conoscenza, però, rappresenta solo la punta dell’iceberg dell’intero corpo della conoscenza.
La conoscenza tacita ed esplicita sono complementari: interagiscono nelle attività creative degli esseri umani. La teoria della creazione di conoscenza di Nonaka e Takeuchi si basa su un assunto fondamentale: la conoscenza umana viene creata e diffusa per mezzo dell’interazione sociale tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita. Tale interazione genera quattro modalità diverse nella “conversione della conoscenza”: (1)Â da tacita a tacita, cioè la socializzazione, (2)Â da tacita a esplicita, o esteriorizzazione, (3)Â da esplicita a esplicita, o combinazione, e (4)Â da esplicita a tacita, o interiorizzazione.
La conversione della conoscenza è un processo “sociale” tra individui e anche tra individui e organizzazione. Ma, in senso stretto, la conoscenza è creata solo da individui. Un’organizzazione in sè non è in grado di creare conoscenza, e la creazione di conoscenza non può essere gestita. Il concetto di creare qualcosa di nuovo si scontra con l’idea di “controllo” proprio delle teorie gestionali tradizionali: “In un determinato contesto la conoscenza emerge spontaneamente. Bisogna dare ai propri dipendenti un ampio spazio di autonomia, non tentare di controllarli” .
In sintesi, l’approccio giapponese alla conoscenza differisce da quello occidentale in molti aspetti. Qui sottolineeremo tre differenze sostanziali:
- cosa si intende per conoscenza,
- come le aziende gestiscono la conoscenza, e
- chi sono i protagonisti
Â
Misurare la conoscenza
Â
In un mondo in cui i clienti sono attratti più dalla conoscenza e dai vantaggi immateriali che gli si offrono piùÂ che dai prodotti materiali, le relazioni con i clienti si trasformano in collaborazione e il lancio di un prodotto diviene una coproduzione di idee. La conoscenza fluisce in entrambi in sensi. I clienti forniscono qualcosa di più del reddito: essi producono idee, competitività, valutazioni, rapporti, etc. Ma raramente si vede un inserimento in un piano strategico.
Le persone sono gli unici veri agenti nel mondo del business; tutti i beni e le strutture, sia i prodotti fisicamente tangibili che le relazioni intangibili, sono il risultato delle azioni umane, e in ultima analisi la loro sopravvivenza dipende dalle persone.
La gente interagisce di continuo con il mondo attraverso associazioni intangibili : aziende, idee, ecc. Marshall McLuhan “The media is the message” (“Media” 1967), ha chiamato queste estensioni intangibili “media”, per esprimersi gli individui, all’interno delle organizzazioni, creano strutture esterne e interne.
Se la gestione dell’impresa si orienta verso l’interno, si creano strutture intangibili come migliori processi, o nuovi design per i prodotti, ad esempio. Quando si rivolge l’attenzione verso l’esterno, si creano, in aggiunta ai prodotti e servizi tangibili, strutture intangibili, come relazioni con i clienti e nuove esperienze.
Il valore economico di una relazione con il cliente non è più “invisibile” del valore di mercato di un qualsiasi altro prodotto. La ragione per cui il valore di una relazione sembra invisibile è perchè per esso non c’è una definizione comunemente accettata in accordo a degli standard. Ma questi inconvenienti non comportano che la misura è impossibile o non necessaria,
La gente di un’organizzazione può usare le proprie competenze principalmente in due direzioni: verso l’esterno, lavorando con i clienti, o verso l’interno, mantenendo/costruendo l’organizzazione. Quando lavorano con i clienti, le persone creano relazioni e immagine di mercato parzialmente “di proprietà” dell’azienda: struttura esterna. Quando la gente lavora all’interno crea una Struttura Interna, chiamata dalla letteratura manageriale “organizzazione”.
La “struttura” è parzialmente indipendente dagli individui e qualcosa rimane anche se gli impiegati se ne vanno. Anche se le persone più importanti lasciano l’azienda, persino in un’azienda di consulenza almeno parte della struttura esterna e interna rimarrà intatta, ad esempio il nome, i software, i manuali, i registri, etc., il che può servire da piattaforma per un nuovo inizio.
Per la prima volta viene usata una nuova metodologia di classificazione composta da tre monitor principali :”famiglia dei tre” in (Sveiby & al. 1988): ” Il nuovo Bilancio d’Esercizio”.
Dove il terzo indice è rappresentato dalla competenza delle persone.
Con quest’ultimo si intende l’abilità delle stesse ad agire in varie situazioni. Include le capacità, l’istruzione, l’esperienza, i valori e le abilità sociali. Le competenze non possono essere di proprietà di nessuno e di nessuna cosa al di fuori della persona che le possiede, perchè fino a prova contraria gli impiegati sono membri volontari delle organizzazioni. Tuttavia, un’eccezione può essere fatta per includere le competenze nel bilancio d’esercizio, in quanto è impossibile immaginare un organizzazione senza personale. La gente tende ad essere leale se trattata equamente, e avverte una sensazione di responsabilità condivisa. Ecco perchè le organizzazioni sono generalmente liete di pagare dei bonus a coloro che vanno in pensione, o devono essere licenziati.
Â
Gli indicatori dei beni intangibili si basano sulla nozione delle persone come unica fonte di generazione dei profitti. In questa “Economia della Conoscenza” le persone non devono essere viste come dei costi ma piuttosto come generatori di reddito e che la conoscenza o la competenza delle persone sono fonti di creazione del benessere. Se si accetta il concetto di persona come fonte di reddito, si deve inevitabilmente avvicinare la “sorgente” della loro conoscenza, generatrice di valore, se si desidera che essa sia misurata più accuratamente. I profitti generati dalle azioni della gente sono convertiti in “strutture” della conoscenza che sono sia tangibili che intangibili. Queste strutture sono rivolte verso l’esterno (strutture esterne) o verso l’interno (strutture interne). Queste strutture possono essere viste come dei beni, perchè esse influenzano i flussi di reddito.
Secondo Sveiby gli Intangible Asset Monitor (IAM) è una teoria di Stock e Flussi, come la tradizionale teoria contabile. Quando si usa l’IAM si percepiscono i tre beni intangibili come beni “reali”. L’attenzione dovrebbe ricadere nei “Flussi”, per cui la teoria dell’IAM suggerisce di provare e trovare delle metriche che indichino cambiamenti nei beni, come la crescita, il rinnovamento, l’efficienza e la stabilità. L’idea è di capire come si stanno sviluppando i beni intangibili, progettando indicatori che esprimono correlazioni con i beni in questione, il loro tasso di rinnovamento, la misura dell’efficienza del loro utilizzo, e il rischio della loro perdita
Da qui parte un processo di introspezione per conoscere il reale valore del proprio capitale intellettuale.
L’organizzazione centrata sulla conoscenza crea opportunità di apprendimento, incoraggia la condivisione delle conoscenze, riduce l’avvicendamento del personale e considera le assunzioni troppo importanti per essere delegate all’Ufficio Personale. L’organizzazione centrata sulla conoscenza sceglierà i propri clienti a seconda del loro apporto alle entrate, sia materiali che immateriali.
I prodotti e i servizi verranno sviluppati con l’attenzione centrata sulla conoscenza che essi forniscono ai clienti e sulle possibilità offerte ai clienti stessi di servire a loro volta i propri clienti. Verranno implementati sistemi informativi in grado di misurare flussi immateriali e cognitivi, e lo scopo sarà l’apprendimento, non il controllo.
Una direzione centrata sulla conoscenza identifica la fiducia con l’ampiezza della condivisione e l’aver investito nel costruire la fiducia una delle sue principali priorità. Il mantenere per sè conoscenze e informazioni per far carriera è attivamente disincentivato.
In questa prospettiva Il sistema informativo gestionale deve iniziare a fornire dati sull’utilizzazione delle competenze, il valore aggiunto, i flussi di conoscenza, i modelli di clientela e le attitudini del personale. Queste informazioni devono essere rese disponibili a tutti, sulla rete principale.